Ultima modifica: 7 febbraio 2020
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Con lo sciopero del precariato rimettiamo al centro i diritti negati alla scuola

Dall’intesa siglata lo scorso 24 aprile 2019 tra le cinque organizzazioni sindacali più rappresentative della scuola (Flc Cgil, Cisl  scuola, Uil scuola, Snals Confsal e Gilda) e il premier Conte, una richiesta abbiamo ripetuto a tamburo battente ai ministri che si sono avvicendati durante la trattativa sul reclutamento degli insegnanti: bisogna iniziare un percorso straordinario di stabilizzazione dei precari e parallelamente dare l’avvio a una stagione di formazione in ingresso di alto profilo.

I numeri del precariato nella scuola italiana sono impietosi, le supplenze dello scorso anno superano quota 150 mila, e più di 70 mila sono state effettuate su posti di sostegno. La stessa Commissione europea ha paventato l’avvio di una procedura di infrazione contro l’Italia per l’abuso di contratti a termine.

In questo contesto il concorso straordinario per stabilizzare 24mila precari è stato certamente un passo in avanti, ne abbiamo condiviso la genesi in una faticosa trattativa con il ministero, ma è evidente che non si tratta di una misura risolutiva. Anche se le 24mila assunzioni andassero tutte a buon fine entro il primo settembre, all’avvio del nuovo anno scolastico avremo comunque almeno 120 mila precari in cattedra come supplenti, e se abbiamo a cuore la qualità della scuola dobbiamo occuparci, presto e bene, della loro formazione.

Il concorso straordinario, dunque, con le sue modalità semplificate di selezione basate sui quesiti a risposta multipla, è stato pensato come primo strumento per uscire dall’emergenza delle cattedre vuote. Il vantaggio che ha offerto la modalità computer-based è stata quella di garantire una procedura estremamente veloce e snella.

I limiti che presenta sono altrettanto evidenti: non risolve il problema dell’abuso del precariato nella scuola e non aggiunge nulla di significativo alla formazione dei docenti coinvolti. Questi elementi erano chiari a tutti i protagonisti della trattativa, tanto che insieme avevamo assunto un impegno: avviare nel giro di pochi mesi i percorsi formativi e abilitanti a regime.

Durante la trattativa, l’attuale ministro, Lucia Azzolina, ricopriva il ruolo di sottosegretaria, e ha seguito tutti i passaggi di quel confronto. Per questo, dopo il suo insediamento, ci aspettavamo che desse continuità immediata agli impegni assunti avviando i tavoli di confronto sulle abilitazioni.

Invece, su quasi tutte le questioni poste abbiamo ricevuto risposte negative: il confronto sui percorsi abilitanti non è stato avviato, le richieste sui bandi di concorso sono state in larga parte rifiutate, sono stati discriminati i docenti che lavorano da anni sul sostegno senza la specializzazione, che non potranno partecipare al concorso straordinario neppure per la materia su cui hanno il titolo di accesso.

E troviamo aberrante che una parlamentare del Movimento 5 Stelle si spinga a difendere la sua ministra dell’Istruzione con un manifesto che insulta esplicitamente i sindacati, come se questi ultimi fossero “il nemico” da “stoppare”, mentre la modernità risiederebbe in una presunta demagogica “meritocrazia”.

È una evidente falsificazione della situazione attuale di precarietà nella scuola, una irritante offesa alle organizzazioni sindacali, e un ceffone sul viso dei tanti docenti precari che assai meritoriamente hanno sostenuto le sorti della scuola italiana in questi anni particolarmente difficili. Con l’effetto di innalzare uno scontro nella scuola, di cui non v’è assolutamente bisogno, tra precari e stabilizzati, tra garantiti e non garantiti, che neppure il tandem Berlusconi-Gelmini era riuscito ad accendere.

Ci attendiamo che la ministra voglia rendere pubblico un suo distanziamento dalla posizione del suo movimento. E sarebbe per lei doveroso riaprire le trattative coi sindacati anche sugli altri temi rimasti ancora irrisolti, a partire dal rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Sulla dignità e la vita delle persone non si può scherzare, né improvvisare, né fare facili uscite demagogiche.

Il lavoro di tanti precari è stato una risorsa per la scuola, senza di loro tanti alunni e alunne con disabilità non avrebbero avuto un punto di riferimento e tante classi sarebbero rimaste prive di insegnanti. Non si può utilizzare questo personale quando serve per coprire le cattedre e poi ignorarne le richieste legittime quando si stratta di garantirgli un percorso di formazione e stabilizzazione.

Tra l’altro, è bene ricordarlo, i temi del reclutamento e della formazione in ingresso sono diventati una vera e propria urgenza dal momento in cui il ministro Bussetti, con l’appoggio del M5S, ha deciso di cancellare i percorsi universitari di formazione dei docenti su cui il governo precedente aveva investito 20 milioni di euro.

Da quel momento, al percorso formativo biennale pagato dallo Stato si è sostituito il concorso straordinario con gli 80 quesiti a risposta multipla: possiamo allora convenire sull’emergenza, ma non raccontiamoci la frottola che il quiz rappresenti la misura del merito e della professionalità di tanti insegnanti che operano da anni nella scuola.

Sulla richiesta di tanti insegnanti di accedere alla formazione abilitante, si sarebbe potuto e dovuto evitare la frattura tra i sindacati e la ministra. La formazione è un diritto dei lavoratori, come recita il nostro contratto nazionale, anche di quelli precari, ed è elemento irrinunciabile della professione docente.

Su questo non ci saranno arretramenti, ed è un dato importante che per la prima volta da molti anni i sindacati chiamino allo sciopero il personale precario. È un segnale politico: si apra un vero confronto e si dia ascolto alle istanze dei lavoratori precari.

Abbiamo delle proposte concrete in cantiere sulla formazione abilitante e il 21 febbraio le presenteremo in un seminario che si terrà a Roma al liceo Cavour. Insieme a pedagogisti, docenti, dirigenti scolastici, precari, esperti di formazione intendiamo rilanciare la formazione in ingresso come chiave della professionalità docente.