Ultima modifica: 13 luglio 2022
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Mobilità, contratto da rifare. Il Tribunale di Roma condanna il ministero per comportamento antisindacale

Non basta la firma di un sindacato. Bianchi farà ricorso

12/07/2022

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ItaliaOggi

DI ALESSANDRA RICCIARDI

Il ministero dell’Istruzione non ha agito nell’ottica del «maggior consenso possibile» nel firmare il contratto sulla mobilità dei docenti con una sola sigla sindacale, la Cisl scuola, delle 5 rappresentative del comparto. Con questa motivazione il Tribunale di Roma, sezione lavoro, ha condannato il ministero guidato da Patrizio Bianchi per «condotta antisindacale». Il dicastero di viale Trastevere, che non si è costituto nel processo ed è rimasto contumace, fa sapere che presenterà ricorso in appello. Il contratto nel mirino è quello integrativo per la mobilità del personale scolastico del triennio 2022-2025, firmato a gennaio scorso. Davanti alle posizioni di maggiore intransigenza di FLC Cgil e Uil scuola, in una fase contrassegnata da una forte tensione tra viale Trastevere e i sindacati, il ministero ritenne opportuno proseguire nelle trattative con la Cisl scuola, pur non essendo la stessa maggioritaria nel comparto. Trattandosi di un accordo integrativo e non nazionale, fu la tesi dei tecnici del ministero, non si applicava il requisito della «rappresentatività» declinato dall’articolo 43 del decreto legislativo 165/2001: il contratto nazionale è legittimamente sottoscritto se le organizzazioni sindacali ammesse alle trattative che vi aderiscono raggiungono il 51% complessivo della rappresentatività come media tra il dato associativo ed elettorale o almeno il 60% del solo dato elettorale. Superato così lo scoglio della rappresentatività, il contratto fu firmato. Oggi il Tribunale scrive: «…non aprire alle trattative nei confronti di organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale», si legge nella sentenza, «senza alcuna forma ‘ di motivazione che evidenzi la trasparenza della scelta, costituisce condotta antisindacale posto che, così facendo, si è venuto a creare una sorta di “monopolio sindacale” le cui ragioni rimangono incomprensibili. Appare evidente», scrive il giudice, «che si tratta di circostanza di fatto che è ben lungi dall’integrare la ricerca, in omaggio ai principi di correttezza e buona fede, del maggior consenso possibile». E il principio della rappresentatività? «Il giudicante è consapevole che non esiste una norma come quella dell’articolo 43, comma 3 del digs 165..», ma «cionondimeno, a livello decentrato vale il principio generale del raggiungimento del maggior consenso possibile», anche se la valutazione di quale esso sia è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione non esistendo parametri rigidi. Il principio, però, va comunque perseguito. «E una decisione importante che raccordo del 27 gennaio 2022 e impone al ministro di riaprire la trattativa, riaffermando il tema dei diritti e delle tutele dei lavoratori come elemento centrale nell’intera impalcatura di Stato democratico e riportando la contrattazione nell’ambito del diritto», commentano Francesco Sinopoli e Pino Turi , rispettivamente segretari della FIc Cgil e della Uil scuola, «si afferma, altresì, come la libertà negoziale del datore trova un limite nel cosiddetto “suo uso distorto”… produttivo di un’apprezzabile lesione della libertà sindacale». Che cosa succede adesso? «È evidente che non sono pregiudicati i diritti delle persone che hanno fatto domanda», rispondo i ricorrenti, «ma si pone il problema di come allargare in prospettiva le maglie strette di quel contratto». Per quest’anno dunque nulla cambia per gli interessati. Per il 2023 si riaprono i giochi.