Scuola, 35 euro non bastano
Previsti da luglio fino a dicembre come una tantum. Per la Flc Cgil sono cifre insufficienti: per tutelare i salari bisogna rinnovare i contratti
Nello stipendio di luglio e fino a dicembre 2023 i lavoratori della scuola riceveranno in media 35 euro in più (insieme agli arretrati relativi al periodo da gennaio a giugno). È l’effetto di quanto stabilito dall’ultima legge di Bilancio che ha stanziato un miliardo di euro per riconoscere nel 2023 a tutto il personale statale un emolumento accessorio una tantum da corrispondere per 13 mensilità e pari all’1,5% dello stipendio.
Peccato che per il rinnovo contrattuale 2022-24 nella Finanziaria non sia stato stanziato nemmeno un euro. Una mancanza che dovrebbe essere coperta da questa cifra una tantum che però, come spiega la Flc Cgil in una nota, “è del tutto insufficiente a recuperare la perdita del potere d’acquisto dei salari rispetto all’inflazione dello stesso anno oltre che del triennio”.
Per i lavoratori della scuola statale si tratta di un compenso medio di circa 35 euro mensili per 13 mensilità pari a circa 450 euro annuali che varia dai 20,53 euro mensili per un collaboratore scolastico al primo gradone di anzianità fino ai 44,38 euro mensili per un docente delle scuole superiori all’ultimo gradone di anzianità.
Nel triennio la perdita sarà ben maggiore poiché all’inflazione del 2023 va sommata quella del 2022 – già certificata dall’Istat al 6,6% – e quella del 2024 – che secondo le previsioni Istat sarà del 2,9% – per un’inflazione complessiva nel triennio del 16,1%”, attacca la Flc. Quindi tirando le somme, “senza risorse per il rinnovo contrattuale relativo al triennio 2022-2024, e a fronte del misero una tantum dell’1,5% disposto dal Governo, si profila per i lavoratori della scuola una riduzione secca del valore degli stipendi del 14,6% che in termini economici significa una perdita di ben 4.500 euro“.
A poco serviranno, continua il sindacato, gli altri interventi messi in campo come il riconoscimento dell’indennità di vacanza contrattuale (che è pari solamente allo 0,5% dello stipendio) o la riduzione temporanea del cuneo fiscale (che è di 6 o 7 punti della quota dei contributi previdenziali per i salari fino a 35.000 euro che si applica solo da luglio fino a dicembre 2023)”.
Sebbene siano importanti tutte le misure che tutelano il potere d’acquisto degli stipendi, per la Flc Cgil “il principale strumento di politica salariale è il rinnovo dei contratti di lavoro a partire da quelli del lavoro pubblico la cui responsabilità primaria è del Governo che deve disporre i necessari stanziamenti in legge di bilancio. Non stanziare le risorse per i rinnovi contrattuali e limitarsi a miseri una tantum significa voler colpire e impoverire il personale della scuola e di tutti i settori pubblici peggiorando la qualità dei servizi e di quelle funzioni essenziali per il benessere dei cittadini”.
La Flc Cgil, “insieme alla confederazione, metterà in campo tutte le iniziative di mobilitazione per tutelare i lavoratori della conoscenza e la qualità del sistema d’istruzione”.