La “Scuola del Popolo”: risposte a dubbi e curiosità per saperne di più sul progetto
D. Quale obiettivo per la Scuola del Popolo?
R. La Scuola del Popolo si propone di rivitalizzare le sedi della CGIL attraverso l’animazione culturale che dia impulso alla socializzazione e la discussione tra le persone. Mentre impazzano le “agorà” telematiche, sono venuti, purtroppo, a mancare i luoghi fisici dove discutere, approfondire, elaborare e parlare dei propri problemi quotidiani. Ecco! Le sedi della CGIL devono essere messe a disposizione di tutti per favorire e creare nuove opportunità di stare insieme.
D. Perché si chiama “Scuola”?
R. Scuola con un’accezione antica. La parola scuola viene, infatti, dal greco: skholé che inizialmente indicava l’ozio, l’occupare piacevolmente il tempo libero, per poi passare ad indicare la discussione e la lezione. A questo pensiamo quando parliamo di “scuola” sottolineando il concetto di imparare, di approfondire e socializzare. Non luogo fisico dove si conseguono diplomi o titoli quindi: a questi ci pensano già altre istituzioni e organizzazioni.
D. Perché “del popolo”?
R. Perché questa parola ha oggi un significato rievocativo fondamentale per il nostro futuro politico. Un sapore di un qualcosa di conosciuto, caldo ma anche forte e intriso di storia e passione. Perché il popolo è quello da cui siamo nati e siamo cresciuti politicamente, perché è una parola essenziale per la CGIL e la sinistra in genere.
D. A chi si rivolge?
R. A tutti coloro che hanno la voglia di ricominciare a confrontarsi e a rimettersi in gioco. Non importa età, preparazione, estrazione sociale o politica. Importa provocare e favorire un risveglio culturale, l’interesse e gusto al confronto, alla socializzazione. Quindi spazio per tutti: lavoratori con tempo libero a disposizione, disoccupati che vogliono riprovarci, giovani neet, migranti, pensionati che risentono della solitudine, casalinghe e …. anche per la zia musona che non vuole più uscire di casa.
D. E i giovani?
R. La Scuola del Popolo nasce anche per loro. In questo caso l’attività prevista e suggerita riguarda la possibilità di rendere protagonisti proprio loro. Sono attività che le associazioni studentesche hanno già sperimentato. Sono le attività di auto-aiuto nello studio in cui gli studenti “senior” aiutano quelli “junior”. L’attività di questo tipo riempirebbe le Camere del Lavoro. I docenti in pensione farebbero da tutor agli studenti “senior” insegnando loro … ad insegnare.
D. Come funziona?
R. Nella maniera più elastica possibile. La sperimentazione attuale si svolge dove se ne sente la necessità: non costa nulla, utilizza spazi messi a disposizione dalla CGIL o dallo SPI (Sindacato Pensionati Italiani), coinvolge le persone che sentono il bisogno di socializzare, valorizza i docenti in pensione che vogliono rendersi utili e riempiono di attività le Camere del Lavoro negli orari in cui sono poco utilizzate. Si fa attività culturale, si discute, si fa politica, si impara a dipingere o a “leggere” e a capire.
D. Qual è il modello da utilizzare?
R. Non esiste un modello preconfezionato. Abbiamo invece un’idea semplicissima: si trovano i docenti disponibili e si fa attività culturale offrendola gratuitamente e solidalmente a chi ne sente il bisogno. Ogni territorio può realizzarla a secondo della propria realtà e necessità. Il risultato atteso? Le Camere del Lavoro consolidano il ruolo da protagonisti sul territorio diventandone il cuore politico pulsante proprio attraverso la discussione e l’animazione culturale.
D. Di cosa si parla?
R. Di qualunque cosa possa attrarre l’interesse dei cittadini di quel particolare territorio. Tutto quindi, dalla storia alla pittura, dal problema del riscaldamento del pianeta alla lettura degli estratti conto bancari, dall’accesso al sito dell’INPS a come si evitano le truffe online, da come e quando si potano gli alberi dei nostri giardini a come si legge un bilancio del Comune.
D. Se sono già presenti delle iniziative sul territorio?
R. Si integrano e arricchiscono le attività già presenti. Esiste Auser e uno SPI super attivi? Bene, si integrano le loro attività in campi non coperti, come ad esempio i giovani o i migranti. Questa è un’ulteriore opportunità non certo una competizione.
D. Chi sono gli insegnanti/formatori?
R. Sono i docenti ormai in pensione, soprattutto ex iscritti alla FLC CGIL, una ricchezza immensa che va valorizzata. Certo, tanti sono oggi già impegnati in iniziative di volontariato organizzate dallo SPI o dall’Auser. Il tentativo è di allargarne la platea partendo da quelli che al momento del pensionamento non si sono iscritti alla CGIL. A questi si può dare una nuova suggestione, un’ulteriore opportunità, una nuova possibilità di sentirsi protagonisti in un progetto per la CGIL.
D. Esiste il pericolo che la Scuola del Popolo vada in competizione con i CPIA?
R. Chi si iscrive ai CPIA ha preso già la decisione di rimettersi in gioco. La Scuola del Popolo si rivolge, invece, ad un’altra platea, ad altre persone. Si rivolge a coloro che hanno rinunciato, che hanno alzato le braccia e si sentono respinti da una società per la quale si sentono inadeguati. Queste persone non si sono iscritte ai CPIA e purtroppo non si iscriveranno. La Scuola del Popolo, al contrario, può favorire la presentazione, l’illustrazione e le potenzialità dell’istruzione per gli adulti in stretta sinergia con i docenti dei CPIA. Un aiuto per recuperare anche queste persone quindi, e orientarle verso una ritrovata autostima e magari verso una ripresa dello studio.
D. Perché occuparsene? Cosa c’entra la CGIL?
R. Perché l’obiettivo è favorire la ripresa del gusto a discutere. Il confronto odierno, oggi mediato dai social, sta impoverendo relazioni e impigrendo le intelligenze. La nostra Scuola del Popolo mira a diventare un antidoto contro l’attuale dibattito politico fatto di slogan e le semplificazioni che hanno sostituito il ragionamento e l’analisi. Questo va combattuto con la discussione, con l’amore all’approfondimento, con il gusto a scavare dentro le cose. Stiamo parlando di una piccola rivoluzione culturale che non può che nascere dalla CGIL e dalla sua organizzazione.
D. Esiste il pericolo di sovrapposizioni di attività all’interno della CGIL?
R. La platea cui ci si rivolge è quella per la quale sino ad oggi non hanno funzionato gli strumenti messi in campo dallo SPI o dall’Auser. Se una persona ha già uno stimolo a partecipare è facile che già sia impegnata o coinvolta in iniziative svolte egregiamente dall’Auser o dalla SPI. La Scuola del Popolo non si rivolge a loro ma agli ultimi, a coloro che si sentono perdenti. Sono quelli che nelle Camere del Lavoro si conoscono bene; quelli che vengono a chiedere aiuto e non vengono attratti da iniziative culturali già in essere. Sono persone che bisogna avvicinare e coinvolgere con strumenti nuovi. Questa attività vuole integrare e arricchire l’attività politica della CGIL allargando la platea delle potenziali persone interessate, non certo ostacolare o duplicare sforzi di altri. Pensiamo, in effetti, ad un gioco di squadra che ampli le possibilità complessive della CGIL senza creare sovrapposizioni o duplicazioni delle iniziative, ma favorendo sinergie e collaborazioni con il sistema CGIL.
D. Si parla di un ritorno al passato del sindacato. Perché?
R. perché il modello da cui nasce la Scuola del Popolo va cercato nelle origini del sindacato, nelle società di Mutuo Soccorso basate su principi fondamentali come quello della solidarietà e della Mutualità. Chi può dare, si mette a disposizione degli altri in termini solidaristici, volontari e gratuiti.
D. È una “mission impossible”?!
R. Forse. Ma se non si inizia mai e nessuna organizzazione, soprattutto di sinistra, prende l’iniziativa … La CGIL ha dalla sua una solida cultura organizzativa e strutture presenti e ramificate su tutto il territorio. Di fatto è l’unica organizzazione che può farlo.